domenica 27 febbraio 2011

Giuseppe Limone

Il ‘pudore’ ha da fare, certo, con la ‘questità’ di quest’uomo e con la sua resistenza iresistibile a essere ridotto in un fantoccio della conoscenza, in un ‘seriale’4. Ma, d’altra parte, come lo stesso Mounier magistralmente rileva, non bisogna nemmeno pensare che il personalismo si limiti a pretendere che si tenga conto delle più minute diversità degli uomini1.

Il pudore va pensato, infatti, non solo per istituire un pensiero adeguato alle massime e minime diversità di ogni persona da ogni altra – ma anche il mondo totalizzante di Huxley potrebbe far questo2 - e non solo per istituire una zona di rispetto, per la persona, da non invadere mai, ma anche per dar vita a un atteggiamento specifico che, sapendo che l’uomo non è mero ‘oggetto’, ma centro profondo di risorse e di atti, a questo centro nascosto apra varchi propiziandone le possibili espressioni.

Un tale ‘pudore’, perciò, va pensato non solo in termini di ‘rispetto’, ma di ‘speranza’. Si tratta, infatti, nella valorizzazione di questa speranza e di quelle possibilità, di predisporre sempre le condizioni – concettuali, strutturali, assiologiche – perché possano ricevere varchi i primi atti creativi della vita personale.

(Giuseppe Limone)