Non è la prima volta che Di Ruscio si confronta con una misura breve, epigrafica o epigrammatica, del verso, ma il precedente Epigramma (Valore d’uso edizioni, Roma 1982) indicava più un atteggiamento che una precisa stilistica: i testi avevano misura assai variabile, alcuni anche lunghi e a tratto discorsivo. Quando la misura era propriamente epigrafica inoltre, poteva anche capitare di contraddirla felicemente con una tonalità diversa, magari micronarrativa (...). E' a tale tonalità che questo nuovo Di Ruscio fa riferimento: il controverso rapporto con il divino, l’esibizione erotica, il duro giudizio sull’umanità, la rabbia e la provocazione, sono tutti elementi che a piene mani possiamo raccogliere in L’Iddio ridente, ma ventisei anni non sono passati invano e le cose si sono in certo modo più sciolte: intendo dire che il grumo convulso del Di Ruscio di allora, tendente a una spasimante condensazione, ha lasciato spazio ad una elaborazione espressiva più in chiaro ed in nitido. Intanto la scelta formale: la misura testuale è ora volutamente continua e conforme, elaborando una lunga scansione sequenziale, con poesie più o meno formalmente uniformi. La scelta di questa sorta di basso continuo si inquadra in una precisa strategia: al Di Ruscio odierno interessa presentare al lettore come un corale (in cui l’io sottoscritto è semmai voce dentro il coro del noi) che si snoda in vari contrappunti, quali sono appunto le singole "iscrizioni" – Iscrizioni era per l’appunto il titolo iniziale di questa raccolta – che in affine misura si aprono singolarmente a diverse ed anche contrastanti segmentazioni del discorso.
E possiamo, sommariamente, rubricare queste principali segmentazioni, magari partendo dai segni di continuità e sviluppo dal precedente Epigramma. (...) Tutto si gioca con più chiarezza a partire dalla propria inimicizia con Dio (...).
dalla prefazione di Stefano Verdino a
Luigi Di Ruscio, L'Iddio ridente, Zona ed.